Che sia nel vincolo del matrimonio o nella semplice unione affettiva l’essere insieme a qualcuno sembra una strada, oggi più che mai, lastricata da incessanti voragini che conducono nei propri abissi. Inutile portare l’evidenza che quei contenitori sociali, che un tempo tenevano insieme la coppia per amore o per forza, oggi sono venuti meno. Ciò è più che mai indispensabile ora, perché nessuna convenzione dogmatica, in questo tempo, può risparmiare all’Essere la necessità di entrare sempre più consapevolmente dentro se stesso. Questa è la sfida del processo di libertà spirituale che in questa epoca vive di tinte forti. Ma libertà di che cosa? O da cosa? E come trovare una libertà nel vincolo a cui certi appuntamenti ci chiamano in modo così inequivocabile?
Per afferrare la forza di questa epoca possiamo lasciarci ispirare dall’immagine di uno dei Prigioni di Michelangelo: dal duro marmo un Essere cerca di venir fuori per liberarsi e trovare la propria forma, e con essa il respiro della propria identità spirituale. Nell’opera di Michelangelo emerge tutto il dolore e la fatica di questo voler essere. Scopriamo che troppo spesso nell’altro si cerca il conforto, l’appagamento di uno stato di bisogno per non essere soli, il rispecchiamento di una bellezza che non si sente nella propria forma, perché quella forma ancora non è, o non è che in divenire. Ma il suo divenire fa paura. Uscire dalla sostanza materica e granitica di ciò che crediamo di essere implica un continuo terremoto psichico che chiede di essere pacificato attraverso lo sguardo dell’altro. Eppure, nella relazione affettiva, presto o tardi lo sguardo dell’altro si fa impietoso, tutt’altro che amorevole. Ci si ritrova al cospetto esattamente di ciò che si fugge: la solitudine del proprio divenire dolorosamente se stessi.
Si nasce soli e si muore soli. Penetrare nel profondo questo pensiero dovrebbe farci toccare qualcosa di molto fondamentale: essere soli, saper essere soli non è qualcosa che riguarda solo il misterioso apice di vita e di morte. Saper essere soli è il nucleo del poter essere veramente in unione sacra e profonda con l’altro. Saper essere soli implica la necessità di comprendere pienamente che l’altro fa da specchio a qualcosa che io devo trasformare di me, e in nessun caso posso proporre o imporre a lui di cambiare. Posso decidere che non sono in grado di sostenere la vista di ciò che lui mi rimanda, e decidere di interrompere la relazione e ciò a cui mi sottopone. Ma non posso ignorare per sempre, pena la caduta in fallimenti relazionali ripetitivi, che ciò che non sostengo è la vista del mio non riuscire ad essere amore.
Saper essere soli significa cessare di poggiare sul fraintendimento di volersi sentire amati, sul bisogno di essere compresi, apprezzati, riconosciuti, visti, accettati, curati, accuditi, approvati, perché ciò che pretendo dall’altro è semplicemente il riflesso del mio non darmi, nel mio non curare, approvare, accudire, o più semplicemente del mio non saper essere amore.
Essere amore è il compito di ognuno di noi sulla terra, e tale compito è un aderire a quella sostanza d’amore immenso da cui siamo completamente avvolti, e che in questa realtà illusoria e duale è così impervio riconoscere. Ecco perché divenire amore è strettamente connesso al nostro saper essere soli. E’ il sapere che in nessun caso io posso basarmi sul presunto errore dell’altro, perché io posso occuparmi solo ed unicamente di ciò che io procuro come sofferenza, di quale errore io agisco nel mondo e nelle relazioni. Se con assoluto intento di verità si facesse questa operazione di pensiero in modo costante ogni avvicendamento conflittuale nella coppia si dissolverebbe con una rapidità sconcertante.
Che ne è di quei momenti in cui vivevate della forza dissetante del vostro amore? Adesso vivere insieme è così difficile. A volte ti viene il sospetto che i vostri cuori siano troppo distanti. Ogni condivisione è diventata priva di passione e interazione. Persino incontrarsi nella pura fisicità è diventato amore senza amore. Lo scontro, il conflitto, la sterilità del rapporto dialettico ha reso così invalicabile ritrovare qualcosa che pure sembrava essere così pieno e totalizzante.
E’ la storia di molte relazioni affettive quando raggiungono uno stato di crisi che talvolta diviene insuperabile.
Alcuni ricercatori affermano che nello scontro fra le parti in una coppia esiste un punto di non ritorno: il disprezzo. Un solo atomo di disprezzo che emerga improvvisamente nella relazione è in grado di creare un tale corto circuito nel flusso relazionale che si vanifica ogni possibilità di proseguirla. Ancora una volta io vedo l’altro che mi disprezza. Vedo in lui il male. Ma ho una sola via di salvazione: ricordarmi che quell’odio che vedo in lui è il riflesso di un odio che è in me.
Faticoso come non mai dover tornare a sé stessi, insopportabile per l’ego dover immaginare che ciò che vedo in lui come disprezzo è solo una sua strenua difesa da ciò che in me vive come disprezzo, e che per questo leggo in lui come tale. Infinitamente più comodo sentirmi legittimamente ferito e vittima.
La legge dello specchio è davvero impietosa e impegnativa, ma non c’è modo di far essere l’amore se non comprendo profondamente che io devo divenire Amore.
Ma se l’altro riflette di continuo il mio essere o non essere qualcosa quale reciprocità esiste nell’amore, quale senso ha davvero l’essere insieme?
Soffermiamoci sulle sconcertanti affermazioni Rudolf Steiner, uno dei più grandi Iniziati chiaroveggenti dei nostri tempi:
“Cosa avviene con l’amore? Quando il chiaroveggente indaga su questo, può fare delle esperienze amare, a meno che non guardi a queste esperienze alla luce di un contesto più ampio.
Supponiamo che nascano due persone che abbiano in questa vita come karma quello di amarsi. In questi casi il veggente spesso osserva che nel mondo spirituale, prima della nascita, queste persone si odiavano.”
Penetrare realmente l’idea del karma deve condurci a visioni tutt’altro che sentimentali. Steiner dice qualcosa di sconvolgente in questo passaggio per due motivi: perché ci fa capire come veniamo da realtà di odio che siamo chiamati a trasformare, e proprio con quelle persone che oggi sentiamo di amare. Ma soprattutto perché qull’odio, di cui Steiner parla, permaneva si da altre vite, evidentemente, ma aleggiava nell’intervita, e cioè nel mondo spirituale. Questo significa che la redenzione non solo non avviene in modo naturale quando siamo nei mondi spirituali, ma che ci incarniamo appositamente per trasformare in amore le forze di odio. In altre parole non c’è altra ragione di tornare sulla terra se non trasformare questo odio in amore.
Allora quale impulso più grande può esistere se non la sollecitazione che vive in un rapporto di coppia o in una relazione affettiva?
LA CHIAVE DELL’INNAMORAMENTO
L’innamoramento è qualcosa di travolgente, anche quando dovesse avvenire per gradi. L’amore non è affatto cieco, e l’innamoramento contiene in sé una lungimiranza spirituale sulla quale è importante soffermarsi. Nell’innamoramento io riconosco la luce di quell’anima, l’appuntamento con essa, ma soprattutto vedo, perlopiù senza accorgermene, l’aspirazione evolutiva nel suo destino, e l’accolgo totalmente: per un istante santo, grazie a questo amore più grande che mi pervade, io vedo l’essere stellare che è dietro quel volto amato. Nell’innamoramento esiste una percezione sovrasensibile che accoglie l’appuntamento e accetta la sfida di divenire amore.
Che quella visione si dischiuda presto, lasciando spesso il posto all’apatia della quotidianità, ad un accumulo di inerzie psichiche, a risentimenti ed aspettative deluse è un’esperienza di disincanto fin troppo comune.
Dire che l’innamoramento contiene una chiave non significa inseguire o voler ripristinare forzatamente una condizione iniziale avvolta da quella magia che doveva lasciare il posto agli strati più densi dell’esperienza relazionale. Significa invece risvegliare in sé quella lungimiranza per la quale l’altro era semplicemente perfetto. Perfetto nella sua aspirazione a divenire. Perfetto nella sua imperfezione. Perfetto nel mio sguardo che finalmente ha sentito di poter vedere bellezza in lui oltre ogni avversione di vite precedenti e ha riconosciuto la propria possibilità di essere bellezza, amando incondizionatamente, e trasformando ogni avversione, antica o attuale.
Afferrare la chiave dell’innamoramento nella relazione di coppia può significare un risveglio. Può significare cessare improvvisamente di agire il conflitto ed entrare in uno stato di devozione e gratitudine verso l’altro. Verso l’altro che c’è. Verso l’altro che è con me, non contro di me. Verso l’altro che con me e come me sta attraversando i suoi scenari di trasformazione in se stesso delle sue forze di odio in amore. L’altro che come me sta cercando di aderire a quell’amore immenso che tutti ci avvolge, e che attende solo di essere riconosciuto in noi stessi. E dirglielo finalmente. Dirgli quanta Bellezza vive nei suoi passi. Dirgli tutta la mia gratitudine per essere insieme a me come quei versi del poeta Gibran: “colonne distanti che reggono lo stesso Templio”.
Se non accolgo il mio totale essere solo al cospetto del mio destino, in una sacra fraternità del sostenere insieme all’altro il Templio di devozione all’Amore, non andrà in frantumi solo il rapporto di coppia, andrò in frantumi io stesso.